ESCLUSIVO. Il primario del reparto di Malattie infettive dell’ospedale di Reggio Calabria e l’emergenza Coronavirus: “Non sottovalutare, ma no a psicosi: in ospedale solo per urgenze”

fotigiuseppeprimariomalattieinfettivedi Claudio Cordova - Sono giorni difficili, di paura, talvolta di psicosi. Sebbene ancora non vi sia stato nessun caso accertato, anche la Calabria è finita nel vortice dell'emergenza Coronavirus, con la presidente della Regione, Jole Santelli, a un passo dalla chiusura delle scuole e persone che decidono autonomamente di autoisolarsi. Il reparto di Malattie Infettive del Grande Ospedale Metropolitano di Reggio Calabria ha già fronteggiato tre casi sospetti, escludendo in tutti il contagio. Venti posti letto, di cu diciotto per degenza ordinaria e due per l'isolamento: il presidio potrebbe essere destinato a essere un luogo centrale per i cittadini, soprattutto nelle prossime settimane. A reggerlo è il dottor Giuseppe Foti, con cui abbiamo realizzato un'intervista esclusiva per chiarire tutto quello che può al momento essere chiarito e fornire agli utenti informazioni qualificate, per evitare il caos, ma anche per non sottovalutare la situazione.

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Partiamo da una domanda più che preliminare: il Coronavirus è una "semplice influenza", come dice qualcuno, oppure qualcosa di più preoccupante?

"E' senza dubbio un'epidemia molto più pericolosa di un'influenza e in qualche maniera possiamo paragonarla all'influenza suina che abbiamo avuto alcuni anni fa, che trovava una popolazione 'vergine' e di conseguenza aveva una capacità di diffondersi molto ampia. Qui stiamo vivendo una situazione simile alla 'suina' e alla 'Sars': quello che impressiona di più è l'alta capacità di diffondersi".

C'è una psicosi da contagio. Cerchiamo di fare chiarezza: è utile la corsa alle mascherine cui stiamo assistendo in questi giorni?

"A mio avviso non è utile al di fuori dei contesti sanitari e dei contesti di rischio, quindi non per il cittadino che va in strada. Molto più utile è evitare i luoghi affollati, che è una buona norma, anche per l'influenza più banale".

Limitare i contatti con il mondo esterno lo considera un comportamento abnorme?

"La corsa a svuotare i supermercati per fare provviste mi sembra molto esagerata. Secondo me in questa fase è più pericoloso il panico che il virus".

Addirittura?

"E' pur sempre un virus che nel panorama globale ha una letalità non elevatissima. Per letalità intendiamo la percentuale dei soggetti che muoiono in relazione agli infettati: è intorno al 2%, che è alto rispetto alla comune influenza, ma non alto rispetto ad altri fenomeni come per esempio la 'Sars', che comunque ebbe una diffusione più limitata geograficamente".

E' vero che non colpisce i bambini?

"Questa è più un'osservazione statistica, che non scientifica. E' un dato che va approfondito sotto il profilo epidemiologico".

Nel momento in cui si guarisce, si crea un sistema immunitario?

"Questo ancora non è dato di sapere, anche perché la ricerca di anticorpi non è ancora codificata dal punto di vista della pratica scientifica. Sembrerebbe che siano degli anticorpi protettivi, infatti in Cina sarebbe stato usato il plasma di convalescenti nella cura e avrebbe avuto un discreto successo. Ma ancora non abbiamo certezze".

Poche certezze anche sul periodo di incubazione, mi sembra di capire...

"Oggi possiamo dare per certo che il periodo di incubazione è di 12-14 giorni. Uno studio del virologo cinese che scoprì la 'Sars' ha valutato dei dati e ha parlato di un'incubazione fino a 24 giorni. Tuttavia la comunità scientifica è portata a credere che due settimane sia il tempo massimo nella maggioranza dei casi".

C'è da sperare in un vaccino in tempi ragionevoli?

"E' vero che il virus, in determinate condizioni, di umidità e di temperatura, può resistere anche diversi giorni, ma io credo e me lo auguro che l'epidemia si spegnerà prima di quando sarà pronto il vaccino. Il tempo minimo per predisporre un vaccino da utilizzare su larga scala è di 16-18 mesi, anche perché prima deve essere sicuro e sperimentato. L'auspicio è che anche l'aumentare delle temperature possa giocare contro il virus".

Chi torna dal Nord in Calabria in questo momento deve a priori restare isolato anche in assenza di sintomi?

"Dal Nord è generica come affermazione. Se torna dalle zone più colpite è giusto che faccia così ed è ciò che si impone per effettuare una sorveglianza sanitaria per almeno due settimane per vedere se insorgono segni di malattia".

Tutto il resto è eccessivo?

"In questo periodo il criterio epidemiologico è saltato. Fino a prima di venerdì scorso, per noi le aree di rischio erano la Cina e una particolare area della Cina e poco altro. Da venerdì in poi è cambiato tutto".

Ha senso chiudere le scuole in Calabria?

"Difficile rispondere, perché effettivamente sembrano dei provvedimenti esagerati. Personalmente credo che anche la chiusura delle scuole del Nord, da un certo punto di vista giustificata, da un altro punto di vista ha consentito questo ritorno in altre aree di docenti e di impiegati che ha favorito la disseminazione dell'infezione. In Calabria non abbiamo alcun caso documentato, quindi sebbene possa sembrare una decisione abnorme, d'altro canto si può dire che prevenire è meglio che curare".

Veniamo all'ospedale di Reggio Calabria. E' attrezzato per fronteggiare una eventuale emergenza, che sia reale o che sia indotta da psicosi e paure?

"Dipende dall'entità dell'emergenza. Se si intende ricoverare quattro o cinque persone e tenere sotto sorveglianza attiva una dozzina di persone, allora ritengo di sì. Ma se per emergenza si intende che si debbano sistemare in ospedale decine e decine di persone, allora penso che non solo la Calabria, ma nessun ospedale d'Italia possa essere attrezzato, tanto è vero che c'è in campo anche la Protezione Civile. Finora sia l'ospedale, sia le ambulanze, sia il personale hanno dimostrato di essere in grado di dare risposte, ma tutto dipende dai numeri che dovremo fronteggiare".

Il cittadino cosa deve fare? L'ospedale è il luogo più fragile, riversarsi qui potrebbe creare problemi?

"Io consiglio di rivolgersi in ospedale solo per i pazienti in gravi condizioni. Non, quindi, per una sindrome influenzale che può essere controllata a domicilio. Assolutamente da evitare, anzi, forse è il primo principio evitare i pronto soccorso, se non per estrema urgenza".

Possiamo spiegare ai cittadini qual è l'iter una volta ricoverati per un sospetto caso di Coronavirus?

"L'ospedale è attrezzato per effettuare tutti i rilievi e quindi smentire in loco un contagio. Il protocollo è quello di effettuare il tampone naso-faringeo, con il primo risultato che arriva nell'arco di massimo sei ore e poi ripeterlo ventiquattro ore dopo e attendere l'esito. Dobbiamo inviare all'Istituto Superiore di Sanità solo i casi che danno riscontro positivo per una ulteriore valutazione".

Che ne pensa della comunicazione sui casi sospetti?

"Il rischio è di amplificare e mettere tensione addosso a tutti: gli operatori, i familiari, gli amici, la cittadinanza. Ovviamente non bisogna nascondere nulla, ma il buon servizio è decongestionare il panico ormai dilagante, senza dare un'enfasi che possa amplificare le preoccupazioni. E' più utile un approfondimento per tranquillizzare la cittadinanza, nei termini in cui oggi si può tranquillizzare".

Qual è il suo messaggio finale ai cittadini?

"Fortunatamente questa esplosione non si è verificata qui, quindi questi giorni ci hanno aiutato a mettere in atto i meccanismi per affrontare la situazione. Speriamo che il controllo che è stato fatto nelle aree del Nord sia stato un controllo efficace. Quindi dico: tranquillizzare, ma anche responsabilizzare e non farsi prendere dal panico, anche se capisco che il momento non è facile per nessuno".