I consigli (non solo dietetici) del dott. Giuseppe Tripodi: “Così ci si alimenta bene in tempo di Coronavirus. E leggete Jung…”

tripodigiuseppe600Siamo andati a trovare il dott. Giuseppe Tripodi, storico medico di famiglia reggino e conosciuto dietologo, rimasto in attività nel suo ambulatorio del centro cittadino fino ai primi di marzo e da allora a riposo forzato in casa.

Con i suoi 92 anni, un bersaglio facile per il Coronavirus. Vive la clausura curando ancora, come può, la professione attiva, costantemente informato via internet ed in dialogo con i suoi pazienti per i consigli più vari (non solo dietetici).

Per questa sua competenza a tutto campo, come una sorta di Poirot, viene spesso chiamato per casi strani o sintomi difficili da decifrare, per consigliare come procedere: Sessant'anni di pratica sono un record, ha vissuto tutte le stagioni dalla medicina del dopoguerra alle più moderne tecniche di diagnosi e cura.

Approfitteremo di questa intervista per tirargli fuori qualche osservazione ed ipotesi sulla emergenza sanitaria attuale. Previsioni su quando finirà, come tutte le persone serie in questo momento, non ne farà.

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Dott. Tripodi come passa le sue giornate?

R: Leggo molto sia i miei trattati di medicina, sempre fondamentali, con i quali approfondisco i temi specialistici, sia i report dei siti di medicina più validi sulle ultime ricerche. Ho sempre trovato molto utili i forum con lo scambio di esperienze tra medici e sono iscritto a due di essi, in particolare Pediatria Online, nel quale spesso finiamo per affrontare con i colleghi gli argomenti più svariati. L'ambulatorio ed il contatto con le persone certo mi mancano, ma devo dire che sopporto bene l'astinenza. Con i pazienti siamo costantemente collegati via mail. Non uso whatsapp di cui tutti parlano, ma le mail funzionano benissimo.

Ne ha viste altre di epidemie o pandemie?

Ho vissuto l'epidemia dell'influenza asiatica del 1957, allora giovanissimo medico. Non si parlava allora di ospedalizzazioni così ampie, erano i medici di famiglia a lavorare ininterrottamente h24, recandosi quasi sempre a casa delle persone. La mortalita' era molto elevata e fu allora, nel mondo, dell'ordine di circa due milioni di persone. Imparagonabile. Se ricordo bene non esistevano nemmeno reparti autonomi di rianimazione e terapia intensiva.

Ricordo ancora i volti dei miei due pazienti morti per polmonite, rimasti come tutti a casa loro e curati come si poteva. Per fare un paragone era l'epoca in cui si curava ancora l'edema polmonare con i salassi non essendoci il Lasix che alla sua apparizione fu scherzosamente chiamato "il salasso bianco" e gli antibiotici, la vera rivoluzione dell'umanità del XX secolo, erano ancora pochi.

Tra allarmismi e giuste cautele. Ricordi di esperienze passate a Reggio?

Guardi, i reggini più anziani lo ricorderanno bene, a meta' degli anni 50 si creò un allarme notevolissimo in citta' per un caso di varicella molto grave. Venne sospettato fosse una forma di vaiolo e migliaia di reggini vennero vaccinati in ambulatorio dai medici di famiglia, prima che giungesse dall'istituto di sanità di Roma il responso negativo. I "no vax" all'epoca non si potevano nemmeno immaginare.

Comunque il panico era allora perfettamente giustificato, se si pensa che il vaiolo è l'unico virus dichiarato ufficialmente scomparso dopo un imponente sforzo a livello mondiale dal 1980.

Cosa la colpisce di più di questa pandemia?

La grandissima facilità del contagio. Che un nuovo coronavirus mutato potesse provocare guai lo sapevamo dalla SARS nel 2003 ma avevamo sottovalutato questo rischio.

Come possiamo spiegare questa letalità così elevata specie in alcune regioni del Nord come in Lombardia ? Che dire delle ipotesi che circolano ?

Guardo tutti i giorni la mappa della diffusione e vedo che presenta una traiettoria orizzontale che sembra colpire maggiormente la società industrializzata e del benessere, dalla Cina all'Europa occidentale e agli Stati Uniti, dove il numero è in crescita vertiginosa. E ovviamente le aree densamente popolate. Al di là della questione del clima, troppo incerta, questo sembra possa incoraggiare alcune ipotesi sulla forza di penetrazione del virus. Qualcuno ha ipotizzato un legame con le cosiddette polveri sottili, che si respirano quotidianamente specie nelle regioni più industrializzate ed inquinate. Di certo dove si hanno più malattie respiratorie, minore resistenza ai processi di infiammazione, si arriva più facilmente alla polmonite interstiziale, causa diretta di morte.

Poi come qualcuno nel Forum di pediatria ha fatto notare, alcune categorie sembrano più protette come i bambini e le gravide che hanno in comune notoriamente reazioni immunitarie meno intense. Le donne statisticamente sembrano in generale più protette. Perché ? Se lo chiedono in tanti. Forse perchè il gene di Ace2 porta di ingresso del virus si trova sul cromosoma X e le donne ne hanno due, mentre gli uomini uno ? Un polimorfismo genetico presente in un solo X nelle donne (eterozigoti) crea meno problemi ? Sappiamo infatti che tutte le malattie causate da un gene presente sul cromosoma X sono molto piu' moderate nelle donne che negli uomini (come per l'emofilia ed il favismo).

Non crede possano c'entrare anche gli stili di vita?

Tante domande in vari campi della scienza, tutte serie, da verificare. C'è un altro fattore che mi pare importante, che segue sempre il filo rosso della società del benessere. Osservo da tempo pazienti magri in apparenza, ma con quella obesita' subdola e più pericolosa, che si definisce viscero-addominale (a torto considerata come una innocua "pancetta") che si lega fortemente a ipertensione e rischio cardiovascolare. Ed è indubbio che chi soffre di patologie cardiovascolari o ipertensione è più vulnerabile al Coronavirus, come dimostrato dalla bassissima mortalità sotto i quarant'anni. Gli obesi viscerali producono più citochine infiammatorie, e più angiotensina.

Nei decessi italiani, secondo le statistiche, la comorbilità più rappresentata è l'ipertensione (presente nel 74,6% di un campione), seguita dalla cardiopatia ischemica (70,4%). In Cina, invece, a fronte di una media di letalità generale di poco superiore al 2% negli ipertesi si è saliti al 6%.

Si sta discutendo molto in relazione al Coronavirus dell'angiotensina, un ormone che aumenta la pressione arteriosa ed è bersaglio dei farmaci antiipertensivi che usiamo oggi giustamente per curarla. E' interessante il fatto che i recettori dell'angiotensina (recettori ACE2) sono nei polmoni la porta di entrata del virus. Anche se gli studi ufficiali escludono una correlazione dei farmaci ace-inibitori e similari (sia benefica che dannosa) con i decessi da complicazioni di Coronavirus, sembra verosimile che la realtà italiana (18 milioni gli ipertesi, di cui almeno il 60% in trattamento farmacologico) possa rendere questa fascia di soggetti più vulnerabili, senza che questo ovviamente possa significare abbandonare l'uso di questi farmaci con conseguenze ben più gravi.

Potrebbe essere una occasione in più per ripensare gli stili di vita in senso semplice e salutare.

Anche se restano i morti giovani e talora l'estrema aggressività del virus. Una terribile realtà, al di là di ogni fredda valutazione statistica ...

Tanti giovani medici pronti a dare una mano. E' un bel segno?

Certamente, teniamo presente però che per ora il problema cruciale, in assenza di una cura è piuttosto l'assistenza sulle complicazioni ed è importantissimo avere personale medico e infermieristico qualificato e reparti di terapia intensiva bene attrezzati e piu' distribuiti sul territorio. Il virus penetrato nei polmoni, non invade gli alveoli respiratori come nella polmonite batterica, che curiamo con gli antibiotici, ma gli spazi tra gli alveoli dove si trovano i capillari che devono scambiare l'anidride carbonica con l'ossigeno respirato. Siamo ancora alla ricerca di farmaci antivirali (senza molte illusioni) che possano agire come fanno gli antibiotici per le polmoniti batteriche, mentre sembra dare risultati solo per attenuare l'infiammazione più grave in diversi casi quel farmaco per artrite reumatoide (tocilizumab) di cui oggi si parla tanto in via sperimentale.

E' bene far capire alle persone circa i ricoveri e le cure che, in base allo stato generale del paziente, alla estensione della polmonite, al grado di saturazione dell'ossigeno ci sono solo tre tipi di intervento praticabili in progressione di peggioramento:

1) Dare semplicemente ossigeno con la mascherina o con le cannule nasali.

2) Passare alla ventilazione meccanica (CPAP) con il casco e l'ossigeno pressurizzato.

3) Intubare e ventilare il paziente con un tubo-oro tracheale

E aspettare, sperando che l'organismo resista, i nostri anticorpi abbiano la meglio ed il paziente torni a respirare da solo.

Stando chiusi in casa il rischio è che salti non solo la dieta, ma più in generale una alimentazione corretta, importante. Che consigli possiamo dare alle persone con problemi di questo tipo?

Quelli che io do ai miei pazienti.

La dieta deve essere equilibrata e varia. Niente ricette miracolose, guru, integratori, digiuni forzati e divieti di questo e di quello, se non nei casi di specifiche patologie. Poi alimenti semplici, non troppo elaborati. Delle decine di tipi di pizze che troviamo ormai nei listini, alcune sono autentiche bombe alimentari, che hanno fatto smarrire l'equilibrio dietetico oltre che il gusto della buonissima tradizionale pizza margherita, che possiamo preparare anche nelle nostre case, specie adesso. E ancora mangiare ai pasti, senza "spuntini" di cui non c'è alcun bisogno. Una bella pasta o riso al pomodoro o con i legumi o le verdure, le verdure anche come contorni, varie ed abbondanti, con pochissimo condimento; frutta poca, ma di tutti i tipi e tutti i giorni. Se una mela al giorno toglie il medico di torno, sette mele una volta alla settimana sono un pugno nello stomaco.

E poi esercizio fisico. Tra automobili ed ascensori, poi seduti al computer, non ci muoviamo più. Anche in casa muoversi il più possibile come sanno le casalinghe spesso più in forma dei loro mariti, dalle pulizie di casa alla ginnastica, in attesa di poterlo fare fuori.

Qualche consiglio di lettura per questi giorni difficili?

Troppe cose scientifiche o purtroppo pseudo scientifiche vengono consumate in periodi come questo. Conviene fermarsi e ritrovare la saldezza dello spirito, come si può. A me è capitato per caso di trovare proprio sul Forum di Pediatria OnLine giorni fa, segnalato da un nostro collega, un passo del Libro Rosso di Jung, il grande medico e psichiatra, che iniziò a scrivere questa specie di diario interiore alla vigilia della prima guerra mondiale.

Questo dialogo tra il Capitano ed il mozzo della nave in quarantena, che ho ricopiato, può essere un messaggio per i giorni drammatici che stiamo vivendo, soprattutto per i giovani. E' molto forte e bello. Lascerei anche l'azzeccata sigla con la quale si trovava, che fa da introduzione. Vale come finale dell'intervista.

#celafaremo non e' sufficiente

aggiungiamo

#neusciremo migliori

"Capitano, il mozzo è preoccupato e molto agitato per la quarantena che ci hanno imposto al porto. Potete parlarci voi?"

"Cosa vi turba, ragazzo? Non avete abbastanza cibo? Non dormite abbastanza?"

"Non è questo, Capitano, non sopporto di non poter scendere a terra, di non poter abbracciare i miei cari".

"E se vi facessero scendere e foste contagioso, sopportereste la colpa di infettare qualcuno che non può reggere la malattia?"

"Non me lo perdonerei mai, anche se per me l'hanno inventata questa peste!"

"Può darsi, ma se così non fosse?"

"Ho capito quel che volete dire, ma mi sento privato della libertà, Capitano, mi hanno privato di qualcosa".

"E voi privatevi di ancor più cose, ragazzo".

"Mi prendete in giro?"

"Affatto... Se vi fate privare di qualcosa senza rispondere adeguatamente avete perso".

"Quindi, secondo voi, se mi tolgono qualcosa, per vincere devo togliermene altre da solo?"

"Certo. Io lo feci nella quarantena di sette anni fa".

"E di cosa vi privaste?"

"Dovevo attendere più di venti giorni sulla nave. Erano mesi che aspettavo di far porto e di godermi un po' di primavera a terra. Ci fu un'epidemia. A Port April ci vietarono di scendere. I primi giorni furono duri. Mi sentivo come voi. Poi iniziai a rispondere a quelle imposizioni non usando la logica. Sapevo che dopo ventuno giorni di un comportamento si crea un'abitudine, e invece di lamentarmi e crearne di terribili, iniziai a comportarmi in modo diverso da tutti gli altri. Prima iniziai a riflettere su chi, di privazioni, ne ha molte e per tutti i giorni della sua miserabile vita, per entrare nella giusta ottica, poi mi adoperai per vincere.

Cominciai con il cibo. Mi imposi di mangiare la metà di quanto mangiassi normalmente, poi iniziai a selezionare dei cibi più facilmente digeribili, che non sovraccaricassero il mio corpo. Passai a nutrirmi di cibi che, per tradizione, contribuivano a far stare l'uomo in salute. Il passo successivo fu di unire a questo una depurazione di malsani pensieri, di averne sempre di più elevati e nobili. Mi imposi di leggere almeno una pagina al giorno di un libro su un argomento che non conoscevo.Mi imposi di fare esercizi fisici sul ponte all'alba. Un vecchio indiano mi aveva detto,anni prima, che il corpo si potenzia trattenendo il respiro. Mi imposi di fare delle profonde respirazioni ogni mattina. Credo che i miei polmoni non abbiano mai raggiunto una tale forza. La sera era l'ora delle preghiere, l'ora di ringraziare una qualche entità che tutto regola, per non avermi dato il destino di avere privazioni serie per tutta la mia vita.

Sempre l'indiano mi consigliò, anni prima, di prendere l'abitudine di immaginare della luce entrarmi dentro e rendermi più forte. Poteva funzionare anche per quei cari che mi erano lontani, e così, anche questa pratica, fece la comparsa in ogni giorno che passai sulla nave.

Invece di pensare a tutto ciò che non potevo fare, pensai a ciò che avrei fatto una volta sceso. Vedevo le scene ogni giorno, le vivevo intensamente e mi godevo l'attesa. Tutto ciò che si può avere subito non è mai interessante. L' attesa serve a sublimare il desiderio, a renderlo più potente. Mi ero privato di cibi succulenti, di tante bottiglie di rum, di bestemmie ed imprecazioni da elencare davanti al resto dell'equipaggio. Mi ero privato di giocare a carte, di dormire molto, di oziare, di pensare solo a ciò di cui mi stavano privando".

"Come andò a finire, Capitano?"

"Acquisii tutte quelle abitudini nuove, ragazzo. Mi fecero scendere dopo molto più tempo del previsto".

"Vi privarono anche della primavera, ordunque?"

"Sì, quell'anno mi privarono della primavera, e di tante altre cose, ma io ero fiorito ugualmente, mi ero portato la primavera dentro, e nessuno avrebbe potuto rubarmela piu".